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ARMONIA E SUONI ARMONICI
Musica e intervalli
Nella pratica musicale ha poca importanza la capacità di associare ad una data nota l'altezza (o la frequenza) corretta: questa capacità è chiamata "orecchio assoluto", e sono pochi i musicisti che, sentendo un suono isolato da qualsiasi contesto, sappiano indovinare di che nota si tratti. Questo fatto sorprende spesso i profani: sarebbe come dire che un pittore non riconosce i singoli colori di cui si serve per creare i propri quadri. In realtà, nella pratica musicale, sono molto più rilevanti queste capacità...:
la capacità di riconoscere l'intervallo formato tra due note consecutive;
la capacità di riconoscere e utilizzare la sua qualità di essere "consonante" o "dissonante".
Esse sono direttamente associate al modo in cui i suoni vengono assemblati e organizzati per trasformarsi in musica.
Melodia
La percezione dei rapporti tra suoni consecutivi nel tempo corrisponde alla percezione della melodia. Quando fischiettate una musica che vi è rimasta impressa, o che vi piace, tipicamente ne state riproducendo la melodia. Dal greco mélos (canto), la melodia è ogni singola "voce" che costituisce una composizione musicale. Dal punto di vista grafico potremmo dire che la melodia è la sequenza che si ottiene leggendo in orizzontale un singolo rigo di una partitura. Ad ogni istante di tempo corrisponde una ed una sola nota. In moltissime forme musicali, tra cui spicca la quasi totalità della musica leggera, la melodia è la parte più in evidenza di un brano, anche da un punto di vista timbrico, e quella che, in un certo senso lo identifica, tanto che, anche quando sentiamo una stessa canzone eseguita in diversi arrangiamenti, pure continuiamo a ritenere che si tratti della stessa canzone, in quanto propone la stessa melodia. Da un punto di vista più oggettivo, dovremmo constatare che la maggior parte dei suoni della canzone cambia, al variare dell'arrangiamento, ma che i rapporti tra suoni consecutivi eseguiti dalla voce principale sono rimasti gli stessi.
Armonia
La percezione dei suoni simultanei, invece corrisponde al senso dell'armonia. L'armonia non è "fischiettabile", perché non corrisponde ad una singola "voce" in una composizione, ma piuttosto all'insieme di tutte i suoni che, istante per istante, sono percepiti simultaneamente. L'armonia, quindi, nasce dalla fusione di tutte le "voci". Da un punto di vista grafico potremmo dire che l'armonia è determinata, istante per istante, dalla lettura contemporanea (verticale) di tutti i righi di una partitura. Ad ogni istante di tempo non corrisponde una singola nota, ma l'insieme di più note, che si chiama accordo. L'armonia di un brano, tuttavia, non è definita da un singolo accordo, ma nasce dalla particolare successione degli accordi nel tempo. È da notare che, storicamente, la tecnica di fondere le voci si è sviluppata molto più tardi del canto monodico (cioè basato solo sulla melodia), e, corrispondentemente, nel corso dei secoli, la prassi compositiva ha subito immense trasformazioni.
Mentre nel linguaggio comune il termine "armonia" ha sempre un'accezione positiva, e si riferisce ad una situazione di equilibrio e proporzione, in musica, proprio per la presenza del "fattore tempo", l'armonia di un brano può assumere caratteri diversi in tempi diversi, e conosce sia accordi apparentemente stabili e statici, sia accordi che, invece, sembrano introdurre elementi di instabilità e sembrano contenere in sé la tensione ad essere "risolti" verso accordi più stabili. Nel gergo musicale ci si riferisce a queste due grandi classi di accordi col nome di accordi consonanti e dissonanti.
La teoria dell'armonia è la branca della teoria musicale che disciplina la successione degli accordi presenti in un brano, e che, possibilmente, individua le "buone regole" della prassi compositiva.
Una o molte armonie?
Da un punto di vista storico la musica polifonica, che necessita di una prassi armonica, si è sviluppata molto tempo dopo la musica monodica, che invece accompagna l'uomo dalla notte dei tempi, e potrebbe sembrare un'estensione (o un'origine?) del linguaggio. L'opinione comune dei compositori e dei teorici della musica, nonché degli stessi ascoltatori, su quali combinazioni di note siano ammissibili o inammissibili in un certo contesto, è assai spesso mutata, talvolta attraverso vere e proprie rivoluzioni di portata culturale non inferiore alle grandi rivoluzioni scientifiche.
La storia della musica è costellata di aneddoti in cui un compositore introduce una variazione ardita, una nota di più, un effetto, che viene accolto con grande successo e ammirazione, ed è additato come una brillante innovazione, oppure va incontro ad un grande insuccesso, e talvolta ad un vero e proprio scandalo. Una musica veramente innovativa introduce nuovi percorsi sconosciuti dapprima, e spesso addirittura scioccanti per l'ascoltatore, ma che poi, col tempo, il cervello impara a riconoscere, e, se li apprezza, li include nel campo del permesso. La musica, come ogni linguaggio, non è un'entità statica, ma si evolve insieme con la percezione e il livello di riconoscimento degli ascoltatori.
Inutile dire che fattori culturali di ogni genere favoriscono questo tipo di fenomeni, come puntualmente dimostra il fatto che, spesso, i genitori trovino intollerabili le musiche ascoltate dai figli e viceversa. Ancora, molti artisti fanno "scandalo" con la loro arte. Molti per motivi esterni all'arte stessa, ma altri perché osano spostare un po' il confine tra ciò che una comunità considera parte di quell'arte, e ciò che è considerato esterno ad essa.
Citiamo almeno il caso celebre di Igor F. Stravinskij che, il 29 maggio del 1913, presentò al Theatre des Champs-Elysées in Parigi la sua musica per balletto Le Sacre du printemps. Le cronache raccontano che la sua musica, destò tale indignazione da far degenerare la rappresentazione in una vera e propria rissa, solo parzialmente sedata dall'intervento della polizia. Oggi l'opera è acclamata come uno dei capolavori della musica moderna.[1]
Possiamo concludere quindi che, anche se da un lato è logico presupporre che esistono basi "naturali" alle regole prime dell'armonia, bisogna ammettere che l'arricchimento, o lo stravolgimento delle regole prime sia parte inevitabile dell'evoluzione della specie umana. In realtà ogni nuova dissonanza che viene acquisita, ogni nuovo suono, per quanto scioccante possa sembrare, non può essere intesa come un'evoluzione contro natura, ma un ampliamento delle facoltà di riconoscimento dei pattern armonici da parte del cervello.
Alle scienze naturali, ovviamente, compete il ruolo di studiare, con i loro metodi, e cioè possibilmente al di là degli aspetti culturali, quali proprietà oggettive del messaggio sonoro, e del sistema percettivo umano contribuiscano a determinarne il senso di consonanza o dissonanza, ma tale studio non può prescindere dal fatto che il cervello umano non si limita a ricevere le sensazioni, ma, in ultima analisi, esso gioca un ruolo attivo nel plasmare e formare la percezione.
Fonte : www.fisicaondemusica.unimore.it
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