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ARTE E PAZZIA
L´Arte nella Malattia
di: Cristina Bergia (introduzione da psicolab)
Esistono artisti che dipingono ciò che vedono, altri che dipingono ciò che ricordano o ciò che immaginano. Il nostro cervello si modifica di fronte alla realtà ma, allo stesso tempo, è capace di cambiarla: un cervello "diverso" dovrà pertanto avere un rapporto diverso con la realtà.
Nell' arte questo "processo" può portare alla creazione di nuove realtà, che solo in parte dipenderanno dall' "informazione sensoriale"; il nostro cervello, infatti, non ha necessariamente bisogno del continuo "flusso informativo" proveniente dai nostri sensi. I sogni, i ricordi che "rivivono" nelle immagini mentali e anche, rappresentazioni "semplicemente" create dalla nostra mente testimoniano questo evento...
In questo senso l'arte amplifica la realtà, crea un nuovo "canale mentale" in grado di aprirsi a nuove esperienze. Gli stimoli visivi, reali o evocati dalla memoria, che hanno eccitano il sistema nervoso dell'artista al momento della creazione dell'opera d'arte, trasformati dalla sua mano in colori e forme, stimoleranno il sistema nervoso di chi l'osserva. L'opera d'arte deve riuscire a suscitare nel cervello dell'osservatore sensazioni ed emozioni che sono state presenti nel cervello dell'artista [Maffei L., Fiorentini A., 1995]. Accostarsi ad un opera d'arte, guardarla, percepirla, comprenderla e apprezzarla, implica il coinvolgimento di molte strutture cerebrali e l'attivazione di meccanismi ben specifici, a partire dai funzionamenti alla base della percezione visiva, a quelli implicati nella cosiddetta "psicologia del vedere", nell'esperienza estetica ed emozionale. Questo si riferisce non solo all'emozione provata da chi gusta un dipinto ma anche al momento creativo che coinvolge l'artista per realizzare la sua opera.
Alcuni ricercatori, soprattutto psicologi e neurofisiologi, sono rimasti affascinati dalla possibilità di studiare le proprietà e le caratteristiche del cervello che rientrano nella valutazione di un'opera d'arte e nel piacere che essa può dare; persuasi dall'idea che la comprensione di tali meccanismi cerebrali, insieme alla conoscenza delle vicende della vita di un artista e della cultura del suo tempo, possano favorire una maggior "cognizione" e apprezzamento dell'opera e di chi l'ha creata.
Un' opera d'arte nasce dalla combinazione di ciò che l'artista esperisce "visivamente" e da come interpreta quanto gli viene comunicato dal mondo esterno. Sia l'acquisizione dell'informazione visiva, sia la sua elaborazione interiore possono essere alterate da cause patologiche.
Gli effetti di gravi malattie mentali, spesso, alterando le capacità percettive ed emotive dell'artista, possono influire sulla sua espressione pittorica e testimoniano come la storia di vita del pittore entri a far parte integrante della sua opera.
Tutto ciò affiora nei quadri di alcuni grandi pittori in momenti particolari della loro vita.
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"Solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo
lo cambiano davvero" Einstain A.
Oggi un artista che si arrovella, trascinando la propria esistenza confusamente,
non è più un " genio sregolato ", ma semplicemente un " patetico fallito "..>>
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Francisco Goya (1746-1828) fu affetto da un'encefalopatia, dovuta ad intossicazione da piombo (elemento allora presente nei pigmenti di vari colori), che gli provocò sordità e alterazione della personalità. Dapprima la sua malattia lo ostacolò in ogni attività e fu la causa di una profonda depressione; figure da incubo popolarono i suoi quadri quando ricominciò a dipingere.
Quest'opera appartiene all'attività più tarda di Goya e fa parte della famosa serie di "pitture nere" della Quinta del Sordo, la sua abitazione privata nella campagna sulle sponde del Manzanarre, dall'artista stesso decorata. Goya, quando dipinse questa figurazione mitologica, era ormai quasi completamente sordo, solo e in preda all'angoscia di cui è testimonianza gran parte della produzione della sua vecchiaia.
L'opera, dipinta con inedita crudezza, vuole assumere probabilmente un significato politico: Saturno che divora uno dei suoi figli sembra simboleggiare il tiranno che divora i suoi sudditi, un´ allusione dell'artista, fortemente avvilito dalle vicende politiche europee e spagnole, a Ferdinando VII.
Goya dipinse la figura mostruosa con toni grigiastri e ocra, sul corpo dilaniato del figlio spicca il rosso del sangue; la scena raccapricciante è intrisa di un' atmosfera "allucinata".
La depressione che afflisse Michelangelo (1475-1564), fu di origine psichica. Nel dipingere il volto di San Bartolomeo mentre mostra al Giudice il coltello, l'artista riportò nelle pieghe della pelle del martirio un dolorante autoritratto. I sistemi percettivo, emotivo ed espressivo di altri grandi pittori sono stati, in modo più drammatico, alterati da gravi malattie mentali, quali la schizofrenia e la sindrome maniaco- depressiva.
Gruesser et al., (1988) descrisse, quale particolare disturbo caratteristico di pazienti schizofrenici, l'anormale percezione delle facce. I volti osservati da questi pazienti potevano cambiare velocemente la loro espressione, assumendo sempre più le sembianze di un mostro: la bocca si apriva mettendo in evidenza i canini sporgenti, il naso e gli occhi divenivano più grandi, le pupille si dilatavano. Alcuni disegni o dipinti riportati da pazienti affetti da schizofrenia mettono in evidenza questa particolare caratteristica e mostrano, pur comunicando la sofferenza e le distorsioni percettive di questa terribile malattia, come la "follia" possa, in alcuni casi suggerire una "geniale" creatività artistica.
Richard Dadd (1817-1886), pittore inglese dell'Ottocento, trascorse molti anni in manicomio per aver ucciso il padre con un coltello a serramanico durante una pacifica passeggiata in campagna, perché lo aveva scambiato per un principe delle tenebre, nemico della sua divinità, il grande Osiris, alla quale aveva eretto come santuario la sua camera d'affitto a Londra. Dadd argomentava che il compito di difendere Osiris gli era stato suggerito dalla Sfinge, che gli aveva sussurrato alcune sillabe misteriose. E pensare che Dadd per tutta la vita ha disegnato fatine, folletti gnomi, elfi, un mondo strano fatto di piccole creature. Dadd diede i primi segni di malattia mentale durante un viaggio in Oriente, in Egitto, e si pensò allora a un'insolazione. Tornato in patria, prima di uccidere il padre, assaltò con intenti omicidi varie persone che a suo parere complottavano contro Osiris. Dadd passò in manicomio gli anni dal 1844 al 1886, dove morì settuagenario. Qui dipinse sempre, e la sua opera più famosa è “Il colpo da maestro dello spiritello”, in cui si vede un folletto che colpisce con un'ascia una nocciola: un'opera in formato piccolissimo portata a termine in nove anni. (fonte: il ritratto della follia) (vedi anche popsubculture e blog lines and colors )
Deformazioni delle facce, volti ansiosi ed impauriti, espressioni ossessive sembrano raggiungere i limiti della patologia nel pittore James Ensor (1860-1949). Le tele dell'artista cominciano a popolarsi di bizzarre figure fino a raggiungere l'apoteosi del sovraffollamento in quello che è considerato il suo capolavoro: L'Entrata di Cristo a Bruxelles .
Le strane figure del dipinto possono sembrare il frutto di allucinate visioni ma, allo stesso tempo, attingono ad una realtà sovrannaturale; la maschera con il riso assume valore ambivalente perché il suo uso permette, attraverso il travestitismo, di modificare ciò che dietro vi si nasconde.
Ancora una volta i confini della patologia, come quelli tra "realtà" e "allucinazione", divengono sfumati e faticosamente distinguibili.
Edvard Munch (1863-1944) si ritiene fosse affetto da una sindrome schizoide.
Il pittore norvegese, nel suo famoso quadro Il grido , sembra voler svelare la sua angoscia, presumibilmente di origine patologica.
Queste parole, scritte da Munch per descrivere Il grido , danno solamente un'idea della forte sensazione che ha portato l'autore a realizzare quest'opera:
Una sera passeggiavo per un sentiero,
da una parte stava la città e sotto di me il fiordo.
Ero stanco e malato.
Mi fermai e guardai al di là del fiordo
- il sole stava tramontando -
le nuvole erano tinte di un rosso sangue.
Sentii un urlo attraversare la natura:
mi sembrò quasi di udirlo.
Dipinsi questo quadro,
dipinsi le nuvole come sangue vero.
I colori stavano urlando.
Il grido , o L'urlo , come viene spesso chiamato nella traduzione italiana, fa parte di una serie di opere intitolata dall'autore stesso " Fregio della vita " (vedi un po' di opere del ciclo).
Il contenuto dell'opera raffigura un uomo che si rifiuta di sentire il suo stesso urlo di dolore: il particolare clima culturale e politico favorisce il rifiuto di essere messi di fronte alle proprie angosce esistenziali, tanto che nel 1982 la mostra delle opere di Munch a Berlino venne chiusa dalle autorità per lo scalpore suscitato. L'alterazione ai fini espressivi della realtà, della forma e del colore: contorni dissolti, forme indefinite, colori irreali, contrastanti, sono il mezzo attraverso il quale Munch perviene ad una personalissima interpretazione dell'angoscia esistenziale dell'uomo e, rendendola visibile, la diffonde nell'animo di chi la contempla. Gli accostamenti cromatici e la deformazione dei soggetti rappresentati, ottenuta attraverso lunghe pennellate, assumono in Munch un preciso scopo funzionale: l'opera deve agire nell'animo di chi la osserva perché è espressione diretta dell'animo di colui che l'ha creata.
Tratti ondulati associati a linee diagonali creano un senso di dinamicità che provoca tensione.
La luce, che va a colpire frontalmente la figura principale, conferisce immediatezza all'evento diffondendo un senso di inquietudine.
La comunicazione di precisi stati emotivi, che negli impressionisti giocava tutta sull'impressione visiva, sembra, in Munch, spingersi ed agire a un livello più inconscio.
La creatività di Munch afferma la sua ossessione per le problematiche della vita e della morte (l'artista fu influenzato dal filosofo Nietzche e dallo scrittore Strindberg), la sua visione pessimistica della società e del mondo e Il grido diventa il simbolo delle ansie e delle inquietudini di un intero secolo.
Riguardando la sua opera compiuta, Munch disse: " Solo un folle poteva dipingerlo ". continua..
Vincent van Gogh (1853-1890) è considerato oggi "il pittore malato" per eccellenza. La natura della sua malattia, che si manifestò prima dei trent'anni, è stata oggetto di numerose ricostruzioni e interpretazioni diagnostiche, fondate soprattutto sulle numerose lettere che van Gogh stesso scrisse al fratello Theo.
Nel momento in cui le sue crisi, caratterizzate soprattutto da allucinazioni e attacchi di tipo epilettico, si manifestavano, l'artista "cadeva" in uno stato di profonda depressione, ansietà e confusione mentale, tanto da renderlo totalmente incapace di lavorare.
...Van Gogh disse di sé: " .sono un pazzo o un epilettico ".
È noto inoltre che, come numerosi artisti dell'epoca (Manet, Degas, Toulouse-Lautrec), anche van Gogh facesse uso di una bevanda alcolica decisamente tossica ma assai in voga nella Francia di quel periodo: l' assenzio . Il pittore Paul Signac, amico di van Gogh, raccontò un episodio che sottolinea l'ultimo periodo della vita del grande pittore:" Tutto il giorno mi aveva parlato di pittura, letteratura, socialismo. A sera era un po' stanco. [.] Voleva bere d'un colpo un litro di essenza di trementina, che si trovava sul tavolo della camera ".
Un anno prima della sua morte van Gogh, dopo una violenta discussione con il pittore amico Gauguin, si recise l'orecchio sinistro per poi regalarlo ad una prostituta. Un suo autoritratto testimonia l'episodio di automutilazione che contrassegnò la sua malattia.
Alcuni studi [Lee, 1981; Lanthony, 1989; Arnold, 1991; Elliot, 1993] hanno tentato di mettere in relazione la malattia di van Gogh con la sua passione per il colore giallo, che predomina nelle tele del periodo francese. Offuscando un po' la sua "reale" creatività questi autori sostengono che i colori caldi - e così "veri" - gli furono ispirati soprattutto dalle allucinazioni visive, in grado di alterare il senso cromatico e la percezione di forma e dimensione.
Molti suoi capolavori possano apparire realmente "allucinati", ma forse la creatività di van Gogh nasceva anche dalla "geniale" capacità di guardare la realtà da prospettive non ordinarie.
Uno degli ultimi dipinti realizzati da van Gogh è questo campo di grano continua...
L'inquietudine, lo smarrimento e la follia caratterizzarono in modo incisivo il cammino di Ligabue: dallo stato mentale dissociato, si racconta che dipingesse spesso in riva al Po e che di frequente si abbandonasse a strane danze, mimando i movimenti degli animali ed emettendo versi e urla, agitandosi nel fango ed imbrattandosi dei colori con i quali lavorava. Quasi possiamo immaginarlo mentre plasmava le sue opere con foga, ardore, slancio. L'arte di Ligabue, per sempre viva, è selvatica e selvaggia: ha il sapore della terra, del sangue, del coraggio. Le composizioni alle quali diede origine sono aggressive ma non stridenti, tumultuose e tuttavia in equilibrio. La sua pittura – istintiva, passionale, irruente – riporta in superficie un vecchio quesito irrisolto: qual è, in realtà, il limite tra genialità e pazzia?
Emblema del genio maledetto del secolo scorso, Jackson Pollock percorse tutta la vita sulla strada dell'autodistruzione, in una parabola di eccessi consumata tra alcool e psicofarmaci, culminata in un terribile incidente d'auto a soli 44 anni, l'11 Agosto 1956.
Jackson Pollock si formò all'Art Students League di New York, ma fu solo dopo l'epifania avuta con “Guernica” di Picasso nel 1939 che il giovane artista iniziò a dirigersi verso forme di espressione proprie. I semi del genio erano già ben piantati, ma la via della fama era destinata ad essere ostacolata dai continui problemi di alcolismo che lo tormentavano da sempre, e da cui si risollevava solo grazie alle lunghe cure a base di psicofarmaci, iniziate durante l'internamento in un ospedale psichiatrico dopo che per una notte intera non aveva fatto altro che colpire ripetutamente il tavolo con un coltello.
Nel 1941, riformato dall'esercito per problemi psichici, Pollock incontra Lee Krasner, sua futura moglie e promettente artista astratta dell'epoca. Lo stesso anno conobbe anche la regina della scena artistica newyorkese, la ricca ereditiera Peggy Guggenheim. Per niente colpita dalle opere di Pollock, la Guggenheim accettò con riluttanza di ammettere uno dei suoi quadri all'annuale concorso per artisti emergenti da lei organizzato.
Si racconta che uno dei giudici, il grande Piet Mondrian, fosse particolarmente attratto dalla tela di Pollock. La Guggenheim gli si avvicinò e commentò: “Quest'uomo ha dei seri problemi, e la pittura è senza dubbio uno di questi”
Louis Wain, il pittore che dipingeva i gatti. Wain era sempre stato considerato un soggetto strano e bizzarro, ma al tempo stesso affascinate; con il passare del tempo, tuttavia, divenne sempre più eccentrico fino alla comparsa, nel 1917, quando aveva 57 anni, di un quadro francamente psicotico caratterizzato, tra l'altro, dalla presenza di tematiche paranoidee, dalla convinzione che la luce “tremolante“ dello schermo del cinematografo “rubasse” energia al suo cervello; iniziò, inoltre, a limitare le relazioni interpersonali e a trascorrere buona parte della giornata rinchiuso nella sua stanza. Il verificarsi di comportamenti francamente aggressivi e violenti motivò nel 1924 il suo ricovero in un ospedale per indigenti, lo Springfield Mental Hospital. Un anno dopo, la notizia del suo stato di malattia e della condizione d'indigenza nella quale versava vennero largamente pubblicizzate dai giornali dell'epoca con il risultato che anche l'allora Primo Ministro inglese si occupò di lui promuovendone il trasferimento in una struttura più decorosa. Con il passare del tempo Wain divenne sempre più stabilmente psicotico, tuttavia continuò a dipingere.
Francis Bacon (1909 - 1992) «Sono diventato pittore per essere amato» dichiarò due mesi prima di morire, a Madrid, tra le braccia del suo ultimo amante. E la vita privata di Bacon non è mai stata scissa dalla sua opera: cacciato di casa a sedici dal padre violento che lo sorprese vestito da donna, si concesse a uomini abbienti tra cui un collega del padre, tale Harbourt-Smith, allenatore di cavalli, per entrare poi nell'ambiente 'ar(t)istocratico' parigino e londinese. Le sue storie sentimentali sono sempre state travagliate: due storici fidanzati morirono suicidi il giorno prima di due sue grandi retrospettive, alla Tate e al Grand Palais, rispettivamente il pilota Peter Lacy e l'aitante George Dyer, ladruncolo dell'East End. Quest'ultimo fu il grande amore della sua vita, protagonista di una passione torturata e torturante, masochista e crudele, che sconvolse il suo equilibrio psichico e contribuì a tradurre il disagio esistenziale nei suoi celebri ritratti inquieti dalle dominanti scure, scomposti in espressioni quasi horror tendenti allo scioglimento, sagome irregolari di carne sfatta e sofferente, deformata e distorta.
Jean Michel Basquiat (1960-1988) Una breve esistenza la sua, vissuta con l'intensità di una gioventù irrequieta e avida di vita. Una tormentata e autodistruttiva personalità, resa instabile dagli eccessi di una prematura notorietà, dall'uso di sostanze, fino alla sua progressiva tossicodipendenza che non riuscirà ad arrestare, portandolo a soffrire di frequenti disturbi psichici. Con il tempo, questi lo porteranno a pensare di essere sfruttato dai commercianti d’arte e dal suo idolo Andy Warhol, che abbandonerà di lì a poco. Dietro la potente macchina del marketing si cela la storia di una personalità in profondo conflitto con se stessa, con i problemi d'identità di un ragazzo alle prese con i fantasmi della sua origine afroamericana e con l'ombra dalla sua amicizia con Andy Warhol. Espressione di un momento storico particolarmente vivace, il boom economico del mercato dell'arte del quale Busquiat è divenuto simbolo.
Mark Rothko (Daugavpils, 25 settembre 1903 – New York, 25 febbraio 1970) “Ho accettato questo incarico come una sfida, armato di intenzioni del tutto malevole" dirà "Spero tanto di riuscire a dipingere qualcosa che guasti l’appetito d’ogni figlio di puttana che entrerà in quella sala per mangiare”. Gli auguri sono destinati ai "più ricchi bastardi di New York”. L'insofferenza verso quel mondo che non lo riconosce si farà più forte verso gli anni '60. Dopo una lunga lotta contro la depressione, il 25 febbraio 1970 Mark Rothko si suicidò tagliandosi le vene nel suo studio di New York. L'anno successivo venne inaugurata a Huston la Rothko Chapel. Rothko, durante una carriera che attraversa cinque decenni conoscerà momenti di alti e bassi, sarà solo verso la fine della sua vita che manifesterà in modo forte i problemi depressivi che lo porteranno inesorabilmente verso la sua fine.
Camille Claudel (Villeneuve-sur Fère, Piccardia 1864 - Parigi 1943). Da bambina manifestò aspirazioni ed attitudini inconcepibili per sua madre e per il suo tempo, scoprendo molto presto la sua vocazione per la scultura. Già a 13 anni comincia a modellare le sue prime figure in argilla. Da ragazza Camille legge molto, attingendo alla biblioteca del padre e, per i suoi tempi, accumula, con la sregolata attività dell’adolescenza e dell’isolamento, una cultura eccezionale. A 19 anni, una bellezza prepotente ed un fascino assoluto che riuscì a sconvolgere la vita di Rodin, maestro e amante, di 43 anni. Camille era una delle più promettenti allieve del Maestro e riuscì a conquistare un posto speciale nella vita di Rodin vivendo con lui anni di passione e di lavoro comune. Nel 1893 la rottura con Rodin che si rifiuta di sposarla. Aveva voluto seguire la sua vocazione d’artista, aveva amato fuori dagli schemi prestabiliti ed ora, a trent’anni, tutto crollava. Contro ogni convenzione e pregiudizio si ritrova sola, delusa, non abbastanza stimata e considerata, come avrebbe voluto essere in rapporto al suo genio. Il profondo rancore verso Rodin le invase il cuore e la mente. Cominciò a soffrire di ossessioni. Era chiaramente il segnale di una grave forma di depressione con manie di persecuzione. Ormai costretta a vivere in ristrettezze economiche si chiuse nel suo atelier, si isolò e visse in povertà tra gatti, ragnatele e marmi. Completò le sue opere e le distrusse a colpi di martello. Vere e proprie “esecuzioni”, come lei stessa le definì. Nel 1911 lo stato di salute di Camille si aggravò e per volontà dei familiari e soprattutto della madre che firmò la carta per farla interdire, venne internata nell’Ospedale psichiatrico di Ville-Evrard. Resterà rinchiusa per trent’anni d’internamento, alternando periodi di lucidità e follia. Nel 1943, all’età di 79 anni, morì. Nessuno, nemmeno il fratello, partecipò al suo funerale.
Fonte: http://dacampo.altervista.org
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