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LIBERO ARBITRIO E DETERMINISMO GENETICO
Mi ha molto colpito un articolo scientifico letto su internet il quale affermava che tra gli uomini e gli scimpanzé esiste una differenza genetica dello 0,6 %.
Ma allora se le origini genetiche sono così importanti dove sta il mio libero arbitrio? Io cosa decido in realtà? Sono un computer biologicamente e psicologicamente programmato? Le mie scelte sono scelte o percorsi obbligati?
Fiorindo Pelliccioli
La prima risposta che viene in mente è una domanda: perché mai uno scimpanzé, o un topo, un verme, un cane, dovrebbero essere dei robot?
Ciò detto, entriamo nel merito della questione strettamente scientifica....
La rassomiglianza fisica evidente fra gli esseri umani e le grandi scimmie è stata un'osservazione comune fra gli scienziati occidentali per secoli, anche se lo scimpanzé comune non è stato descritto formalmente fino al diciannovesimo secolo quando Oken (1816) ha descritto il genere Pan, inclusivo dei Pan paniscus (scimpanzé pigmei o bonobo) e i Pan troglodytes (scimpanzé).
Mentre per la maggior parte degli addetti ai lavori gli scimpanzé hanno costituito un genere separato, oggi nella comunità scientifica si va riconoscendo il rapporto evolutivo vicino fra gli esseri umani e scimpanzé, disponendoli nello stesso genere, che dalle regole della nomenclatura zoologica deve essere Homo. A livello di genoma, va detto che l'uomo condivide più del 99% delle sue sequenze con lo scimpanzé, con molti vegetali ha in comune il 25% dei suoi geni, ancor di più con un moscerino o un vermiciattolo.
Tutte le istruzioni necessarie all'esistenza di un organismo, di una specie, della vita in generale, sono scritte in un linguaggio particolare ma comune a tutti gli organismi e sono, per la stragrande maggioranza delle specie esistenti sulla terra, contenute nel DNA. Il DNA a sua volta costituisce unità dette cromosomi all'interno del nucleo di ogni cellula o è raggruppato in un compartimento meno ben definito nei microrganismi.
Il linguaggio, o codice, è una specie di lunga catena formata, diciamo, da 4 lettere che si alternano, si complementano e si susseguono in un determinato modo, lungo una struttura dinamica detta a doppia elica. Questa sequenza è un genoma. Quello umano è costituito da circa tre miliardi di tali lettere o basi o nucleotidi.
Il sequenziamento del genoma umano, come quello di altri organismi, consiste nell'elencazione della sequenza di basi, cromosoma per cromosoma.
Sebbene il genoma dello scimpanzé, come di altri primati, non sia stato ancora sequenziato del tutto, è stato possibile stabilire il grado di omologia di sequenze genomiche tra uomo e i primati superiori confrontando le sequenze di almeno 100 geni appartenenti a specie diverse: umani, scimpanzé, gorilla, oranghi, cercopitechi (babbuini e macachi).
Analizzando le mutazioni in geni funzionalmente importanti, è stato possibile misurare il grado di parentela tra queste specie. Secondo questa analisi, gli scimpanzé e l'uomo hanno una similarità genetica pari al 99,4% e occupano due rami fratelli di un nuovo albero evolutivo, decisamente rivoluzionario. Dopo gli scimpanzé, i parenti più prossimi dell'uomo risultano essere i gorilla, quindi gli oranghi e in ultimo i cercopitechi.
A un secolo e mezzo dalle teorie di Darwin cade l'ultimo steccato tra scimmie e uomo. Sulla base degli studi descritti, gli umani e gli scimpanzé avrebbero avuto origine 5 o 6 milioni di anni fa da un progenitore comune, dal quale si sono differenziati come specie separate. A sua volta, l'antenato comune si sarebbe differenziato dai gorilla fra 6 e 7 milioni di anni fa.
Malgrado la loro somiglianza genetica, vi sono tuttavia differenze fenotipiche evidenti fra gli esseri umani e gli scimpanzé. Queste differenze fenotipiche includono il formato della corteccia del cervello, il modo di locomozione e la capacità di produrre vocalizzazioni complesse.
Si può dire di più, che le differenze genomiche tra gli esseri umani sono di un ordine ancora molte volte inferiore rispetto alle differenze tra gli umani e gli scimpanzé. Secondo la Celera, che ha contribuito notevolmente al sequenziamento del genoma umano, "vi sono solo circa 800 basi diverse per milione di basi nel genoma di ciascun essere umano". Viene così di certo spazzato via il pregiudizio di differenze tra le razze umane, eppure anche qui vi sono delle differenze fenotipiche, tramandate di generazione in generazione.
Dunque rimane ancora del tutto da scoprire quali siano le basi genetiche di questa diversità fenotipica. Va detto che un gene è costituito da una serie di sequenze di basi, alcune delle quali costituiscono una unità a tre a tre (triplette) che codifica per un amminoacido.
Una sequenza di queste triplette (più o meno lunga) costituisce una parte di una proteina. Le sequenze di DNA che codificano per una parte di proteina sono dette "esoni".
Esse sono inframmezzate da altre sequenze nucleotidiche, più o meno lunghe, dette "introni", che spesso contengono unità regolative, ma non formano triplette che codifichino per amminoacidi. Il trascritto primario di un gene contiene tutta la sua sequenza di basi, trascritta per l'appunto in RNA (RNA nucleare eterogeneo), simile al DNA in composizione di basi speculare (complementare) dove al posto del desossiribosio vi è il ribosio.
Mediante un meccanismo enzimatico complesso, che riconosce sequenze specifiche al margine tra introni ed esoni, gli introni vengono escissi dall'RNA eterogeneo e quest'ultimo "matura" in RNA messaggero vero e proprio che può essere esportato fuori dal nucleo nel citoplasma, dove incontrerà i ribosomi che tradurranno il codice in esso contenuto in sequenze di amminoacidi e quindi proteine. Il processo di escissione degli introni può tuttavia escindere anche alcuni esoni insieme alle sequenze interposte non codificanti. Quindi un gene potrà dare così origine a mRNA differenti tra loro e quindi a proteine diverse.
Sin dagli anni settanta era stato suggerito che la maggior parte delle cause genetiche delle differenze fenotipiche fra gli esseri umani e le grandi scimmie sono le sequenze regolatrici che controllano la sincronizzazione e modellano l'attività genica.
Oggi comincia a venire alla luce anche un ruolo regolatore di geni che non codificano per proteine, anche se molto simili a specifici geni che producono proteine. Questi "pseudogeni" vengono trascritti e si ipotizza che il loro mRNA avrebbe un ruolo regolatore sulla espressione (funzionalità) dei corrispettivi geni codificanti.
Inoltre, vanno considerati altri livelli di complessità: differenze nella struttura spaziale e nelle modificazioni "posttraduzionali" delle proteine rappresentano indubbiamente alcune delle differenze osservate nei fenotipi.
Le differenze conformazionali inducono le proteine a funzionare diversamente, dal momento che esse interagiscono tra loro in base alla struttura primaria (sequenza di amminoacidi) e conformazionale (influenzata anche da fenomeni posttraduzionali come aggiunta di fosforo, zuccheri, grassi, ecc.). Va infine anche detto che lo 0,6% di tre miliardi di basi costituisce circa 18 milioni di nucleotidi. Tutte queste basi non codificheranno certamente tutte per proteine, ma chissà, potrebbero contenere quei geni specifici della specie umana, come quello del libero arbitrio...
Oggi si sa inoltre che un determinato prodotto genico può svolgere funzioni diverse a seconda del contesto cellulare in cui agisce. Quindi deve essere l'organizzazione dei geni che cambia, non la qualità dei geni, che probabilmente rimangono gli stessi e sono condivisi da differenti organismi viventi da qualche miliardo di anni. Il sequenziamento del genoma umano ci ha riservato una prima grande sorpresa, i geni umani sono circa 35-40 000 mentre si pensava che fossero molti di più. Solo due-tre volte in più dei geni necessari alla formazione e alla sopravvivenza di un piccolo verme lungo 1 millimetro (Coenorabditis elegans, ha 18 000 geni), di un moscerino della frutta (Drosofila ha 13 000 geni) o erbacce come la senape (26 000 geni).
Quindi l'uomo ha un genoma enorme di cui solo una parte è funzionale. DNA spazzatura il resto? Quasi certamente no. Quindi è l'organizzazione dell'attività genica che contribuisce alla specificità di specie e di individuo. Se si pensa che il cervello umano è composto da circa 100 miliardi di neuroni, ciascuno dei quali può stabilire fino a mille connessioni funzionali o sinapsi, si dovrà convenire che il numero di geni che possediamo non basta nemmeno a determinare una piccola quantità dell'attività cerebrale.
Come dice il famoso genetista Richard C. Lewontin, "ora che abbiamo la sequenza completa del genoma umano, ahimè, non conosciamo affatto più di prima che cosa significhi essere umani". Altri studi saranno necessari (ma saranno sufficienti?) per comprendere la complessità delle interazioni delle proteine nel tempo (lo sviluppo e l'invecchiamento di un organismo) e nello spazio.
Forse bisognerà attendere allora per decidere se siamo veramente simili agli scimpanzé e angustiarci per la perdita della nostra unicità di specie, per la perdita del libero arbitrio.
Umberto di Porzio
Istituto di Genetica e Biofisica, CNR, Napoli
Il libero arbitrio è un'invenzione della filosofia medioevale, importante storicamente nei dibattiti con la teologia: qual è lo spazio umano rispetto a Dio? Quanto Dio permette la libertà del pensiero e dell'azione?
Oggi si sa che parlare in senso assoluto di libero arbitrio è un'illusione di onnipotenza (ma non per le ragioni teologiche): io decido una ben piccola parte delle vicende che vivo, per i molteplici livelli di condizioni al contorno che agiscono in ogni scelta che faccio (i geni c'entrano ben poco).
Gli accadimenti più importanti per ciascuno sono frutto di catene casuali di circostanze: dove nasco (Siena? Bagdad?), da chi nasco e in che epoca storica? Cosa mi succede nella primissima infanzia che poi non ricorderò più e che modella i miei sistemi emotivi-cognitivi?
Né per noi né per gli scimpanzé (né per gli uccelli o le tartarughe o tanti altri animali) le scelte sono assolute, né i percorsi obbligati. Ma noi come loro scegliamo in continuazione entro i margini di manovra che la vita ci propone: in questo non differiamo più di tanto. Mille circostanze influenzano ogni passo.
Quanto alle differenze genetiche (che non possono scegliere per noi né per gli scimpanzé dove si farà il nido o che cosa si combina oggi di bello), sono piuttosto basse tra tutti gli animali; molto più basse di quello che si credesse prima dei vari sequenziamenti genici del progetto genoma.
Se la scelta (più o meno vincolata dalle circostanze) è possibile anche per molti altri animali, nel nostro caso c'è una differenza: oltre a scegliere, noi ci interroghiamo su cosa vuol dire scegliere, e su che significato ha la funzione della scelta che faccio in questo preciso momento. Questo è un metalivello. Cioè una pratica della coscienza di sé.
La coscienza di sé non sta nei geni, non la possiede un computer, ma non è neppure un percorso obbligato per un essere umano. Infatti se vuole un uomo può vivere anche senza coscienza di sé e se vuole può farsi ampiamente programmare (da poteri forti o mediatici: può arrivare a desiderare ciò che gli si induce di desiderare). Anche questo abdicare alla coscienza, non c'entra coi geni. Ma anche farsi condizionare, scegliere di non scegliere, è indirettamente una scelta che si compie per piccoli passi. Scelta inerziale, ma scelta.
Per una trattazione più approfondita si può vedere:
R. Lewontin, Gene, Organismo, Ambiente, Laterza, Bari 2002
Fonte : www.ulisse.sissa.it
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