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LA MISTICA TECNOLOGICA
Brevi cenni sullo stato attuale della realtà. Tecnologica e non
Dare forma a un pensiero, a una teoria che si forma sottilmente, giorno dopo giorno, prima in modo subdolo, quasi un gioco, poi sempre più corposa e aiutata da un cogitare che all’improvviso diventa frenetico, è il tentativo che cercherò di portare a buon fine con quest’articolo. Pillole del basso futuro è il titolo di questa rubrica, in cui usualmente tento di mettere a frutto alcuni spunti tecnologici mediando le esigenze della fantasia più sfrenata, provando a determinare il percorso su cui l’umanità — o l’avanguardia della postumanità — si muoverà nell’immediato futuro; in quest’occasione, però, vorrei condividere con voi alcuni aspetti della realtà che ci circonda che giudico assai bizzarri, soprattutto se visti alla luce di un modello di realtà che è anche una delle basi del Connettivismo: parlo del Paradigma Olografico.
Cercando di stringare al massimo le spiegazioni di tale modello fisico della realtà, posso sostenere che la teoria postula un’esistenza bidimensionale della nostra natura fisica, asserendo che ogni cosa che noi percepiamo come tridimensionale sia effettivamente una semplice estrapolazione del modello bidimensionale delle cose. Ciò si evince (la dissertazione completa l’ha redatta Giovanni De Matteo in tre puntate su NeXT, il bollettino connettivista trimestrale, sulla scorta degli appunti di Jacob D. Bekenstein) dalla verifica sperimentale di due particelle elementari che, assai lontane fisicamente tra loro e assolutamente non in relazione, si trovano a rispondere agli stessi stimoli fisici in modo coerente, come se fossero effettivamente in comunicazione tra loro...
Questa evidenza sperimentale coinvolge un numero sconvolgente di considerazioni concettuali, figlie in qualche modo anche della mistica, delle religioni dell’antichità dell’uomo, di un calderone ascetico che richiama a un concetto di unitarietà e di tutt’uno che ha — oggi ancor di più — dello sconvolgente. Va chiaramente detto che il Paradigma Olografico non è altro, allo stato attuale delle cose, che una semplice ipotesi che, però, dà adito a speculazioni mentali, a un tale ordine d’idee che si agita da sempre — come dicevo all’inizio — nelle menti connettiviste, dando vita a uno dei pilastri del nostro movimento, dotandoci di una sensibilità che ho covato in me per lunghi mesi e che all’improvviso è esplosa, facendomi estendere il concetto della natura illusoria del tempo anche allo spazio, impressione antica quanto l’uomo e che Louis Pauwels e Jacques Bergier, autori del mai troppo letto Il mattino dei maghi, esaltavano in molti punti controversi del loro monumentale saggio.
Non solo il tempo non esiste, ma non esiste nemmeno lo spazio: questo è quanto rimuginavo nei giorni scorsi, cominciando ad assumerlo come vero, continuando anche a scavare nei pensieri e nelle percezioni di tutto quello che preme addosso a ognuno di noi. “Non esiste né lo spazio né il tempo” è — anche — il concetto cardine che asserisce implicitamente il Paradigma Olografico, fautore di un’essenza nascosta che anima qualsiasi percezione che noi abbiamo del reale, un reale che diventa una poderosa e solida illusione modellabile da qualsiasi livello di realtà che l’umanità possa concepire: ovvero, chi è in grado di costruire una sua variabile della realtà può realizzarla, perché tutto è possibile a patto che si sia abbastanza forti da imporla agli altri, poiché la realtà è solo un vestito da adattare sull’essenza invisibile del nostro continuum. Pensaci bene — mi sono detto — nel passato ci sono stati diversi modelli di tangibilità, tutti veri e vincenti eppure, a volte, contrastanti tra loro in modo totale. Pensiamo all’Illuminismo, così razionale, così scientifico — che ci ha aperto le porte della ragione — eppure così distante, diametralmente opposto alla mistica dell’età classica — per esempio del Paganesimo — dove eventi naturali, imperscrutabili eppure rivelatori, erano letti come il volere di un dio piuttosto che di un altro essere deificato. Continuando a braccio: perché gli avvistamenti degli UFO sono diventati assai frequenti, ma solo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale? Sembrerebbe quasi che un meme si sia diffuso tra gli uomini, e che un particolare modello di realtà abbia preso piede, forse semplicemente
perché si è semplicemente affermato, forse perché ha avuto sufficiente forza da far passare il concetto UFO come qualcosa di assolutamente esistente. Pensiamo anche alla tecnologia dei semiconduttori, alla fisica che governa l’area della giunzione del transistor e che ha del miracoloso, del bizzarro; verrebbe quasi da pensare che tale tecnica non dovrebbe nemmeno funzionare, data la sua precarietà, eppure è alla base della nostra società attuale, costituisce il substrato vitale che ci permette di trasporre e diffondere anche le considerazioni che state leggendo. Parlate, a questo proposito, con un ingegnere di microelettronica, e vi dirà che — per esempio — il buon funzionamento della RAM di ogni computer (circuiti realizzati sulla tecnologia dei
semiconduttori a giunzione) ha del prodigioso, non dovrebbe nemmeno operare tanto è instabile l’equilibrio su cui si basa il funzionamento dei banchi di memoria volatile.
Cosa significa tutto ciò? Tutto, oppure niente. Dipende, molto, dall’atteggiamento con cui ci poniamo di fronte a tali considerazioni; dipende dal grado d’introspezione che usiamo per scavare nei fenomeni che avvengono attorno e dentro noi. Dipende dalla sensibilità di cui siamo capaci e che possiamo usare per osservare, percepire, ogni avvenimento, fino a giungere a una coscienza multipla, a una vitalità che ci sembra infinita, a uno scoperchiare l’illusione che aderisce ai nostri sensi come se fosse una seconda pelle; è uno scoprire che tutto è vero come nulla può esserlo, finendo per ritrovarci come Neo in Matrix che osserva la realtà scomporsi in codici grafici elementari, aggregati come macro via via sempre più complessi: no, non sto asserendo che dietro a noi ci sono delle macchine, sto semplicemente dicendo che Matrix era una metafora per suggerirci la neurosimulazione di cui tutti siamo piacevolmente vittime. Chi c’è dietro la nostra Matrix? Non lo so, non ho idee precise, forse un Demiurgo, forse un Grande Antico… Forse nulla.
Da quando ho cominciato a speculare su tali pensieri i segnali, attorno a me, di un tale stato dell’universo sembrano aumentare; piccoli suggerimenti mi vengono anche da fonti impensabili, come la serie televisiva Lost, che proprio nella puntata trasmessa pochi giorni fa sembrava suggerire che tutto il gruppo dei dispersi fosse parte di un esperimento medico, e che essi fossero semplicemente stati immersi in una simulazione — non meglio specificata — tale da farli credere dispersi su un’isola deserta. In fondo, su quell’isola si ritrovano personaggi che non dovrebbero esserci, come l’atleta incontrato allo stadio da Jack (il medico) anni prima, di notte, e che inspiegabilmente lo si ritrova chiuso nel bunker da quarantena, impegnato a pigiare i tasti dell’assurdo e forse inutile countdown; come Harley, il personaggio obeso che proprio sull’isola incontra — forse — la donna della sua vita, che uno scorcio finale d’inquadratura rivelatore e geniale ci svela essere una precedente compagna di degenza in un ospedale psichiatrico. Cos’altro è, tutto ciò, se non un’indicazione di una realtà illusoria che ci circonda tutti? Cos’altro è, questo, se non un invito al risveglio, di matrixiana memoria ma, soprattutto, di mistica memoria, di quella che si trasmette di generazione in generazione. fin dagli albori dell’umanità?
E la tecnologia, in tutto ciò? Cosa c’entra?
Se gli argomenti che ho esposto fossero veri, allora la tecnologia sarebbe soltanto l’ennesimo metodo per manovrare l’essenza che sta dietro alle nostre vite. La tecnologia è un’attitudine, una leva su cui agire per influenzare la realtà illusoria, quella solida illusione che viviamo: più convinti saremo di quest’ulteriore metodo, più esso potrà — probabilmente — spalancarci le porte della percezione rendendoci plausibile qualsiasi mondo noi vorremo. Non ci spiaccicheremo al suolo cadendo dal 100esimo piano (tanto per tornare a Matrix) né saremo vittime della credulità che molte religioni vorrebbero ancora insite nell’animo umano; solo, ci accorgeremmo tramite questa finzione e altre sensibilità sparse che tutto è leva, metodo, e sarà come essere in ogni tecnica di programmazione a oggetti che si rispetti, dove esiste l’oggetto (la realtà) e il metodo (la leva con cui agire sull’oggetto): è, questa, l’ennesima metafora, l’ennesima verità e similitudine nidificata che ci conduce all’esasperazione materiale, troppo accentuata per essere vera, così che ogni cosa vi apparirà come se tutti quanti fossimo immersi in una quasi perfetta Java Virtual Machine, che ci garantisce la gran parte delle reazioni standard che ci aspettiamo dal nostro continuum materiale, e che solo in condizioni limite rivela dei bug tali da farci intravedere l’errore di calcolo che si cela dietro al nostro mondo virtuale, svelandoci un bagliore onirico di una trama imperfetta che si è palesata soltanto perché noi siamo riusciti ad andare oltre i consueti limiti umani.
In ultima analisi, tutto è vero, ma nulla lo è davvero. Il nostro corpo fisico è così importante nella sua illusione solida da doverlo potenziare, per permetterci di avanzare nella conoscenza; così da ammetterci alla trascendenza che inizia dalla consapevolezza che la realtà è solo una proiezione di qualcos’altro: la tecnologia è come lo stadio di un razzo lanciato verso il cosmo, utile fino a una certa altezza, poi da lasciar andare nel momento in cui ha esaurito il suo compito propedeutico all’ascesa. L’ascesa del postumanismo che ci permetterà di accedere a un ulteriore livello di elevazione interiore, a un’esistenza simile ai sacchi di gas di sterlinghiana memoria, che ci avvicinerà — davvero — all’etereo fluire posto dietro alla parvenza del nostro illusorio mondo, proprio come le antiche mistiche hanno sempre suggerito: il postumanismo, quindi, va visto come un passaggio intermedio, necessario ma non duraturo.
L’ascesa, verso la consapevolezza e le quinte del palcoscenico: forse è questa l’unica essenza da interpretare come vera, qui, in quest’ordine dimensionale. Forse…
Fonte : http://www.fantascienza.com/magazine/rubriche/9312
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