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PERCHE' LOST E' UN CAPOLAVORO



Il regista Fabio Guaglione, appassionato della serie, ci spiega perché l’opera è un evento mediatico senza precedenti. E afferma che le risposte ai misteri ci sono, basta unire i puntini…


Fabio Guaglione, il regista del duo Fabio & Fabio che ha realizzato i cortometraggi premiati in tutto il mondo Afterville, Silver Rope ed Eden, da grande appassionato condivide con i lettori di Best Movie un’approfondita analisi sul serial che ha rivoluzionato il genere, Lost.


E’ il 24 Maggio 2010. Mi alzo alle cinque del mattino e sapere che a breve guarderò la fine di Lost provoca un’emozione che non riesco nemmeno a connotare. Una serie che personalmente mi ha dato tantissimo. Da spettatore, infinite emozioni e riflessioni. Da addetto ai lavori, vere e proprie lezioni di storytelling della nuova generazione. Sei anni di fiato sospeso, di elucubrazioni mentali, di condivisione di pensieri con altri fruitori della serie… stanno per giungere al termine....





Non sapevo che Fox aveva organizzato una maratona per riproporre la sesta serie. Acceso il televisore, mi riguardo le due puntate prima del finale. Perché Lost va visto e rivisto. Non a priori, come un comandamento. Ma perché la sua struttura e i suoi contenuti offrono nuovi spunti ad ogni visione di uno stesso episodio. E’ come un grosso, immenso puzzle… e per ricomporre i pezzi bisogna osservarli bene, sia da vicino sia da lontano. Questo è il motivo per cui milioni di persone nel mondo non hanno semplicemente guardato gli episodi di un telefilm… ma hanno vivisezionato ogni singola immagine, hanno indagato sui misteri della serie rivedendosela più volte, hanno vissuto le storie dei personaggi da diversi punti di vista e crescendo con loro in questi sei anni, hanno cercato di capire meglio ciò che stava succedendo sull’isola documentandosi su antichi culti religiosi o sulle teorie della new science. Questo è il motivo per cui, a sei anni dalla sua apparizione, Lost è tutt’altro che scomparso. Anzi, il finale era atteso come un proprio evento mediatico. un evento che è iniziato in contemporanea mondiale. Di per sé, la sensazione di partecipare a qualcosa che così tante persone hanno atteso non ha prezzo ed in quel momento, alle 6 del mattino italiane, siamo in chissà quanti milioni, davanti al teleschermo, a vedere “la fine”. Adoratori incondizionati e critici spietati. Tutti lì, chi sperando di trovare risposte ai misteri, chi cercando di capire come sarebbe finita la vita dei personaggi, chi semplicemente guardando il finale di un pezzo di storia della televisione.


Inizia. Le prime immagini hanno una vibrazione insolita. E’ la fine. Si sente. Si sente che siamo su un altro piano rispetto ad alcune cadute di tono delle ultime puntate. L’arrivo del cargo con la bara. La mano di Jack che trema. Ok, sono dentro, totalmente. E’ la fine di Lost.
Vivo due ore senza interruzione pubblicitarie (forse un dio della televisione esiste, e si è fatto perdonare tutti i suoi peccati con questo atto di compensazione) e, lo dico, piango cinque volte. E non me ne frega niente. So che anche tutti quelli che hanno criticato Lost si sono commossi qua e là. Impossibile non farlo. Lost può essere criticato su diversi fronti ma su una cosa non si può discutere: Lost emoziona. Lost è emozionante. Lost è fatto di emozioni.


Mentre guardo il finale, mi rendo conto come, anche durante queste ultime due ore, continuo a formulare teorie su cosa sta succedendo, scena dopo scena. Malinconicamente, con i minuti che passano, mi chiedo “quando ricapiterà più una cosa così?”


Qualcuno ha amato questo finale. Qualcuno si è sentito preso in giro. Qualcuno non smetterà mai di formulare teorie. Ma tutti quanti sono stati coinvolti, in un modo o nell’altro. Lost è un’opera multi sfaccettata, costituita da diversi livelli di lettura ed entertainment. Mi fa sorridere teneramente chi dice che «Lost è una merda», e poi non ha mai smesso di guardarselo per sei anni «sì ma solo per vedere come va a finire». Credo che se uno non avesse voglia o piacere di guardare un film o un telefilm, o di leggere un libro, non lo farebbe, semplicemente. Soprattutto se è un impegno che dura sei anni. Io ho visto i primi 6 episodi di Fringe, il nuovo serial di J.J. Abrams. C’erano delle cose carine, interessanti, certo ma l’ho trovato pasticciato e noioso. Bum, ho smesso di guardarlo, anche se alcune persone mi hanno detto «eh, ma alla fine della prima serie capirai qual è il vero fulcro di tutto…». Sì, ok, ma a me le prime cinque puntate hanno annoiato. Non ho motivo di proseguire. Non vado avanti a guardarlo solo per poi criticarlo. Ci sarà un motivo se FlashForward chiude dopo la prima stagione, e il fenomeno Lost non accenna a diminuire, e non scomparirà dopo il Finale, statene certi.
Lost sta finendo. Iniziano gli ultimi dieci minuti e ancora una volta, questa storia mi porta in una direzione che non avevo saputo prevedere. Avevo formulato diverse teorie su come sarebbe potuto finire e non avevo visto arrivare una risoluzione finale di questo tipo. Eppure, era così semplice. Non so bene come prenderla. Vivo gli ultimissimi minuti frastornato. La rivelazione di Christian Shephard riguardo la realtà alternativa, la riunione nella chiesa, il cammino di Jack verso il luogo dove tutto è cominciato, non sto capendo: mi è piaciuto o no? Mi lascio andare. Jack è per terra. Arriva Vincent. Gli si accuccia vicino, aspettando la sua morte. L’uomo di scienza diventato ora uomo di fede, vede un’ultima cosa, l’aereo della Ajira che riporta a casa Kate, Sawyer e gli altri. Sorride. E’ finita. Sei anni fa è tutto cominciato con un occhio che si apriva. Ora finisce tutto con un occhio che si chiude. Era così semplice, com’è stato possibile non prevederlo? E poi, per l’ultima volta quel suono. LOST.


L’emozione ha preso il sopravvento. E’ stata una fine tematicamente giusta per il percorso di Jack? Aveva ragione chi sosteneva le posizioni di Jacob? Ha vinto il libero arbitrio o il determinismo? Non lo so, non m’importa. Ho vissuto un’esperienza irripetibile per queste due ore. Per questi sei anni. Grazie, Lost. 
 Poi passano i minuti, le ore e continuo a pensarci, parlo con altre persone che l’hanno visto e, come direbbe un americano, il finale «grows on me». Lo capisco sempre di più, lo trovo sempre di più in linea con ciò che è sempre stato questo show, mi sembra sempre di più la degna conclusione di quella che è una delle più grandi storie mai narrate.


Una storia va anche e soprattutto giudicata dal finale. Perché è il finale a darle un senso. Com’è il finale di Lost? Cos’è?


E’ il punto di arrivo del percorso interiore dei personaggi ma non solo. E’ un messaggio, per gli spettatori. Un messaggio magari definito da alcuni banale, io lo definisco semplice. Il che non voglia dire che non sia potente o importante. Vivremmo tutti una vita migliore se ci attenessimo a delle semplici ”regole”. Ma quanti di noi lo fanno? Pochi. Allora non è forse giusto che qualcuno ci ricordi queste regole, magari tramite un telefilm? Io non lo trovo banale.


Come non trovo banale la soluzione rispetto alla realtà alternativa. La storia è finita da poco, ma sono già fioccate numerose teorie e interpretazioni, molte delle quali possono coesistere senza annullarsi a vicenda. E’ notevole tutto questo. Degno di un mosaico perfetto, fatto per essere osservato, vissuto, studiato, interpretato. 
Ad una prima lettura, la realtà alternativa è una sorta di purgatorio dopo la morte. Un passaggio dimensionale tra la nostra realtà (tutto ciò che è successo sull’isola), e qualsiasi cosa ci sarà dopo. E’ una dimensione senza spazio e senza tempo (“there’s no now, here”), che Jack, assieme a tutti i Losties, ha creato. Dopo essere morti (chi sull’isola, come Jack o Juliet, chi magari anni dopo sulla terra ferma, come Sawyer e Claire), i nostri personaggi si incontrano un’ultima volta per cercare un’ultima forma di redenzione. Per questo Kate dice a Jack «mi sei mancato moltissimo», perché dopo aver abbandonato l’isola, ha vissuto tutta una vita senza Jack. Per poi rincontrarsi in questo mondo plasmato dai loro desideri di come avrebbero voluto la loro vita. Ma è il momento di andare avanti. Let it go. Move on. Whatever Happened, happened. C’è anche chi, come Ben o Ana Lucia, si è macchiato di grandi colpe in vita e non può ancora accedere a ciò che è oltre di essa. Desmond ha il ruolo di traghettatore verso il “dopo” e per farlo non può che far prendere coscienza ai losties di tutto ciò che è successo, di tutto ciò che hanno fatto in vita, di tutto ciò per cui hanno lottato, di tutto ciò che hanno raggiunto, e di tutto ciò per cui hanno vissuto e per cui sono morti. Il percorso di vita, morte e rinascita, è ora completo.
Lost è una saga inegualmente affascinante per il suo doppio livello di lettura, costante, anche se a volte non è evidente. La realtà alternativa può essere anche interpretata secondo una lettura scientifica. Alla fine della quinta serie, Jack & co cercano di cambiare il loro destino, lasciando cadere la bomba all’interno della sacca di energia. Qual è l’esito di questa azione? Hanno scongiurato l’incidente, evitando quindi la catena di eventi che porterà a creare la botola, che condurrà Desmond sull’isola e che a sua volta farà precipitare il volo Oceanic 815 sull’isola per mano dello stesso scozzese? Oppure agendo in questo modo, sono stati gli stessi Losties a creare “l’incidente” che renderà necessaria la stazione dharma con il pulsante per il rilascio periodico dell’energia elettromagnetica? Hanno cambiato il loro destino o hanno agito esattamente all’interno di esso?


La meccanica quantistica, la filosofia e la new science
Qui si entra in un discorso molto complesso, ma al contempo molto semplice. Come alla fine è Lost. Come alla fine è la filosofia, che si sta sempre di più ricongiungendo con le moderne scoperte della cosidetta new science. La meccanica quantistica porta ad affermare, scientificamente, che l’osservazione di un fenomeno influisce sul verificarsi dello stesso. Questo concetto semplice ma apparentemente impossibile da spiegare scientificamente, porta a concludere che uno stesso evento può esistere secondo diverse possibilità sovrapposte ed ugualmente possibili, una delle quali diventa reale solamente nel momento in cui l’osservatore, appunto, osserva tale evento. Ciò, a sua volta, porta ragionevolmente a condurre una stretta connessione tra soggetto osservante e determinazione della realtà. Particelle materiali che vengono influenzate da processi mentali. Il “paradosso del gatto di schrondiger”, in questo senso, esprime il punto di partenza chiave di questa lettura della realtà. Coloro che staranno già storcendo il naso, dicendo che sto vedendo qualcosa dove non c’è… beh, dovrebbero fare caso che in Lost si è sempre parlato di elettromagnetismo, elemento strettamente collegato alla meccanica quantistica.


La bomba che evita e provoca l’incidente aereo
Tornando quindi alla seconda interpretazione del finale, grazie alla meccanica quantistica, possiamo affermare sostanzialmente che: dopo l’esplosione della bomba, i Losties hanno sia evitato che provocato “l’incidente”. Nel primo scenario, hanno creato la realtà alternativa. La realtà in cui l’isola è sprofondata, Jacob non ha mai interferito nelle loro vite, e il volo Oceanic 815 non è mai precipitato. Sbirciando sul diario di Faraday abbiamo letto su un diagramma la scritta “tempo immaginario”. Ed è questo che è la realtà alternativa, una dimensione creata dalla volontà dei Losties di cambiare il destino, di vivere felici (Jack si “crea” addirittura un figlio, per compensare il rapporto che ha avuto con suo padre). Ma la realtà dell’isola esiste, contemporaneamente. E’ la realtà in cui l’incidente si è verificato, semplicemente. Sono stati loro stessi a provocarlo. Il rilascio di quell’energia li ha fatti viaggiare nel presente. Le due realtà quindi esistono in egual modo, sono ugualmente probabili ma la probabilità deve collassare in una sola realtà. Una sola tra le due dimensioni potrà sopravvivere, e i Losties dovranno scegliere. Per questo Widmore dice a Jin che se non scongiureranno il pericolo, loro, tutti i loro cari, e la stessa realtà “cesserà di esistere”. Per questo, tramite Desmond ormai immune ai fenomeni elettromagnetici dell’isola, Widmore vuole “risvegliare” le memorie dei Losties della realtà alternativa…per fare in modo che la realtà come la conosciamo non scompaia, a favore della dimensione alternativa creata dal desiderio di redimersi. Quindi, una lettura scientifica di ciò che è successo, è ancora possibile.


Il Karma e la scienza: non possiamo cambiare il passato
Anche secondo questa lettura il finale, a livello narrativo, ha senso? Eccome. I Losties hanno cercato di rimediare ai loro errori nella vita, provando a cambiare il passato. Ma, ovviamente, non è questo il giusto modo di vivere. Non possiamo cambiare il passato. Dobbiamo concentrarci sul presente, di ogni singolo giorno. Banale? New Age? No. Semplice. Ma Vero. Dobbiamo lasciare andare ciò a cui siamo spesso inutilmente legati o non riusciremo mai a fare pace con noi stessi. Ad essere felici. Ad andare avanti. Questa è la fine di Lost. E’ un finale positivo o negativo? Entrambi. E’ Karma. E che lo sappiate o meno, al giorno d’oggi la filosofia del Karma è stata spiegata scientificamente da ricercatori quali Bruce Lipton in libri come “La Biologia delle Credenze”, che ha vinto il best-science award book nel 2006. Non l’ho ancora detto, e ora lo dirò. Lost è un capolavoro. Non si tratta di farselo piacere o meno. Uno è libero di vomitare su 2001 Odissea nello spazio, non è questo il punto. La soggettività determina il gradimento di un’opera, non la sua qualità. A mio parere qui siamo di fronte ad un capolavoro indiscutibile (e non ad una minestra allungata in nome del denaro, come detto da qualcuno). Cercherò di spiegare qui perché anche se non è facile, poiché stiamo parlando di un’opera semplicemente monumentale, studiata e analizzata da saggi di filosofia, di cultura contemporanea, di linguaggio cinematografico, ecc…
I fattori che determinano l’indiscutibile valore di quest’opera, e che la rendono unica e irripetibile sono tanti. In ordine sparso.


La storia. Non tanto quanto il contenuto del plot in sé, che alla fine si rifà agli archetipi classici delle più grandi opere letterarie e mitologiche (seppur stratificandoli a sua volta), quanto l’approccio narrativo, più unico che raro. Lost è una delle storie più “character driven” mai viste. Questo termine viene usato dagli sceneggiatori per indicare tecnicamente una storia in cui gli eventi sono portati avanti dalle azioni e dalle scelte dei personaggi, in opposizione a delle storie “plot driven” dove gli eventi accadono perlopiù a causa delle situazioni collegate al plot principale (macro story line esterna). Lost è una storia piena di misteri, di plot, di sub plot ma ciò che conta davvero, ciò che va seguito, sono questi personaggi. Le loro azioni, le loro scelte, il loro destino, i loro conflitti interiori. In tutto questo, Lost realizza un vasto affresco narrativo, ma la nostra attenzione è sempre concentrata sui sopravvissuti dell’Isola. Tutto il resto è background. Il telefilm non si chiama “The Dharma Chronicles” o “The Adventures of Jacob & his brother without name”. Il titolo stesso parla dello stato d’animo di queste persone quando arrivano sull’isola. Sono Perse. E la storia che guardiamo serve a farci capire come ritroveranno loro stessi, come sapranno salvare le loro anime. Tutto il resto è fondamentale? No.


In questo senso, Lost è forse l’unica opera che mi viene in mente associabile ad un altro capolavoro moderno: l’anime “Neon Genesis Evangelion”. Anche lì, i misteri e la macro-storia dello scontro tra i robot e gli alieni-angelo è in secondo piano rispetto ai drammi umani dei protagonisti. E anche lì, il finale (per certi versi molto simile a quello di Lost, con tanto di una battuta identica riferita al protagonista «ti stavamo aspettando») suscitò grandi polemiche. Ma a distanza di anni, Eva non è stato inghiottito dal vorace dimenticatoio di questa era mediatica, tutt’altro. Lo stesso accadrà per Lost.
Lost ha cambiato per sempre il linguaggio della narrazione nei serial tv, generando una serie infinita di cloni con più o meno successo. Ha portato un nuovo e più sofisticato modo di scrivere i dialoghi, di strutturare i canonici 40 minuti (tanto è vero che ora i “flashback” sono parte integrante di molti serial, e sui “flashforward” ci hanno addirittura basato un’altra serie), di articolare i twist della trama, di montare le immagini. La narrazione di Lost permette ad ogni scena, ad ogni dialogo, di essere letto in più modi. Ogni immagine rimanda a diversi significati, permettendo un vero e proprio intrattenimento a 360 gradi. In questo senso, ci sono stati (pochi) precedenti, come Twin Peaks, collassato però su sé stesso, non essendo stato capace di mantenere alti i livelli artistici e produttivi, nonché essendo basato su un’idea a breve termine, che hanno tentato, in questo caso davvero, di allungare. Lost è riuscito a portare in televisione la nobiltà narrativa e visiva del cinema. Dopo Lost, i serial sono diventati quasi più importanti del cinema, tanto è vero che ora molti attori famosi diventano protagonisti di tv shows, e i budget allocati per i serial sono cresciuti a dismisura. Lost è stato definito da alcuni un “film lungo 6 anni”. Forse lo è, forse è meglio di un film, è stato una cosa nuova e unica. A differenza di prodotti come Twin Peaks o la trilogia di Matrix, Lost ha portato a termine un progetto narrativo e concettuale in cui, volenti o nolenti, è rintracciabile una coerenza di base (a differenza forse di uno sbilanciamento e una disomogeneità narrativa nell’arco delle sei serie, ma su questo si può discutere), in cui gli autori hanno saputo fondere pop e sofisticatezza, creando di fatto un nuovo linguaggio in grado di penetrare nelle menti e nei cuori di milioni di spettatori di età e cultura completamente diverse. In un’era in cui siamo sempre di più sommersi da costosi e insultanti blockbusters senz’anima né cervello, Lost è solamente da ammirare nella sua costante fusione tra emotività e complessità narrativa. Prendete la telefonata tra Desmond e Penny nella quarta serie. Un vera e propria pietra miliare della tv (come tutto l’episodio “The constant”, da molti riconosciuto come il migliore di Lost in assoluto). Due persone che si ritrovano, anche solo per un istante, grazie al loro reciproco amore eterno, all’interno di un articolato viaggio temporale della coscienza di un personaggio attraverso il suo stesso corpo. Assistere a una scena di questo tipo è un semplice privilegio. 
La forza indiscutibile di Lost sta nei suoi personaggi. Caratterizzati in maniera assolutamente particolareggiata, potente, tridimensionale. Ci “agganciano” da subito (grosso merito della serie), e ci portano con loro attraverso le loro gioie e i loro dolori. Perché Lost è unico anche in questo? Perché Jack non è il solito belloccio protagonista. Di solito, se ci fate caso, nelle storie di fiction di qualsiasi media che prevedano un gruppo di personaggi il protagonista, l’eroe principale, non è caratterizzato da nessun aspetto particolare. E’ mediamente dotato in tutto, senza nessun particolare fascino. Jack è invece un protagonista atipico. Ha un grosso problema emotivo, un atteggiamento talvolta estremo verso le situazioni a cui si trova di fronte. E’ interessante. Ci si affeziona a Jack. Prendete Star wars. Quanti sono quelli che si affezionano a Luke? Han solo, sì. Anche Anakin, piuttosto, Chewbecca, santo cielo. Ma Luke? No…perché è uno stereotipo. Ma Jack è reale. Come sono reali gli altri personaggi. Non sono macchiette, sono veri e propri esseri viventi. In un telefilm qualunque, Hurley sarebbe il ciccione simpatico, fine. Ma Hurley è molto di più. Chi ha seguito Lost lo sa. Impossibile non amarlo. Che dire di Ben? Una delle menti più diaboliche della storia della fiction. Anche i personaggi minori, come Daniel Faraday, o Miles, o Rose e Bernard hanno una loro anima. Sanno coinvolgenti. Anche Vincent, dannazione, anche un cane ha spessore psicologico in Lost! Ho lasciato per ultimo lui, John Locke. Una delle personalità più amate di sempre, un personaggio dalla filosofia di vita assolutamente affascinante. Un uomo che continua a credere nonostante il suo dramma. John Locke è semplicemente… speciale. I personaggi di Lost sono straordinari nelle loro relazioni, nell’evoluzione dei loro rapporti. Sono essi, tramite le loro scelte, a determinare l’evolversi della vicenda, al di là di cosa c’è in gioco. Tali scelte, proprio perché ci troviamo di fronte a personaggi creati e descritti così incredibilmente, sono spesso imprevedibili. Come le scelte delle persone nella vita reale. Ed il rapporto tra Jack e John è una delle relazioni di fiction più incredibili, filosofiche e commoventi mai realizzate. Un conflito drammatico e insolito che incarna uno degli aspetti di maggiore importanza di questa storia, ovvero…
Nessuna altra opera aveva analizzato finora in maniera così bilaterale questo dualismo alla base della nostra interpretazione della realtà. Del nostro modo di vivere. Viviamo in un’era in cui le scoperte della fisica dei Quanti stanno ricongiungendo la spiritualità con la scienza, facendo capire all’Uomo che entrambe le strade portano alla stessa conclusione. Lost racconta questo. Mostra come lo stesso evento possa essere interpretato come un miracolo o un fenomeno scientifico, a seconda di chi lo sta osservando. Spiega scientificamente e filosoficamente come un atto di fede possa generare un fenomeno fisico, e viceversa (la serie è costellata di elementi di questo tipo, il finale ne è un esempio). E allora, anche schiacciare un semplice bottone diventa un modo di mettere alla prova ciò in cui crediamo. E’ ciò in cui crediamo a fare la differenza nelle nostre vite. A costruire la nostra realtà. La storia di Lost comincia appunto quando i personaggi hanno “perso” ciò in cui credevano e si conclude nel momento in cui l’hanno ritrovato.


Ad incarnare questi temi, tramite i personaggi, abbiamo il più grande cast mai assemblato di un’opera televisiva o forse di un’opera e basta. Attori come Terry O’Quinn (Locke) o Michael Emerson (Ben), vincitori di Emmy award ma meritevoli di molto di più, sanno far vivere i loro personaggi attraverso una serie infinita di espressioni facciali e inflessioni del tono di voce quando pronunciano le loro battute (ps: se non avete mai visto Lost in lingua originale, allora non avete mai visto Lost). Josh Holloway (Sawyer) ad esempio viene spesso sottovalutato per il suo aspetto fisico ma è un attore in grado di farvi ridere e piangere, come vuole. Anche lo stesso Josè Garcia (Hugo) nel finale ci fa commuovere tanto quanto ci ha fatto ridere negli ultimi sei anni, con un semplice “no”, pronunciato con degli occhi pieni di disperazione, rivelando il suo assoluto senso di lealtà a Jack.
Ok, sfatiamo questo mito, non è vero che Lost non ha dato risposte ai misteri. Basta, smettiamola con questa storia assurda. Lost semplicemente non ha SPIATTELLATO le soluzioni, ma ha sempre e continuamente fornito elementi per poter unire tutti i puntini del grosso “disegno invisibile”. Basta usare il cervello, e collegare ciò che si è visto durante le sei serie. Sono ben pochi i misteri a cui non è stata fornita una possibile interpretazione, ed essi sono di fatto marginali. Se pensate che non sia così, provate pure a fare una domanda. Sono sicuro che c’è chi, come me, saprà offrirvi una possibile soluzione. Per alcune cose non sono state date risposte certe, è vero ma alla fine, scusate, chi se ne frega? Un conto è «hanno creato una storia incoerente con dei buchi logici che mi impediscono di seguire l’evolversi delle vicende». Un conto è «hanno fornito i mezzi per poter interpretare questo fatto in un modo o in un altro e a me piace credere che sia così». Sono due livelli che non bisogna confondere. Altrimenti sembra che gli autori abbiano inserito misteri a caso per anni e anni pensando di far risolvere tutto ai fan, non sapendo dove andare a parare. Ma non è così. Sfido chiunque sostenga questo a creare una storia come Lost, operando in questo modo. Vi assicuro che non otterrete un bel niente. Sostenere questa tesi è solo una moda. Fa figo prendere in giro Lost, e non è facile sostenere a spada tratta un’opera così complessa. Detto questo, ribadisco che la storia di Lost non è una sequenza di domande misteriose a cui bisogna trovare una risposta, è un’avventura di un gruppo di persone, in cerca della redenzione per tutto ciò che li ha resi soli e infelici prima di raggiungere l’isola. In questo senso, abbiamo assolutamente tutte le risposte che ci servono.


L’enciclopedia di Lost
Per quelli che sostengono che «è tutta una storia inventata di puntata in puntata, e non sapevano come farla finire, e non sta niente in piedi», è comunque stata annunciata un’enciclopedia di Lost, che fornirà queste benedette risposte. Ed è questa la forma giusta in cui dovevano arrivare. Poco più di un maledetto opuscolo informativo, ci sto. Avrei vomitato se durante i drammi di questi personaggi e la poesia di alcuni momenti ci avessero infilato degli spiegoni pseudo-scientifici con dei dialoghi da film da fantascienza anni 90. Oltretutto, spiegare esplicitamente i misteri, avrebbe negato uno degli elementi che ha reso Lost l’opera di entertainment più importante degli ultimi dieci anni: la formulazione delle teorie da parte del pubblico. Il mistero è sempre stato una parte costitutiva dello show, fino alla fine, e oltre, direi. Questo ha spinto i fan di tutto il mondo a cercare di interpretare costantemente ciò che stava succedendo. Le risposte non venivano date, e quindi le persone hanno cominciato a cercarsele. Attivamente. Usando il cervello. Creando delle vere e proprie teorie, condivise tra amici, sui siti, sui forum, sui blog di tutto il mondo. Chi ha visto Lost aspettando puntata dopo puntata, sa cosa vuol dire “viaggiare” col proprio cervello, cercando di capire gli aspetti più oscuri della vicenda. Questa esperienza, rende Lost totalmente unico in questo genere. Cercare di scoprire chi ha ucciso Laura Palmer è un conto. Ma provare a capire cosa sia l’isola, chi sia Jacob, qual era lo scopo della Dharma, perché i Losties vogliono tornare sull’isola, chi sono Adamo ed Eva, cosa sono i numeri, è tutt’altro, gente.
 Le teorie, a loro volta, hanno contribuito a generare la Lost-mania. Ovvero vere e proprie comunità che continuavano a scambiarsi teorie e pareri sull’episodio appena visto. Ovvero rivedere più e più volte lo stesso episodio per interpretarlo meglio con il senno di poi. Ovvero non sapere aspettare e guardarsi tutto il cofanetto della serie in tre giorni. O non poter aspettare la versione italiana (tra un anno? Con i dialoghi adattati in quel modo? Ma siete pazzi? Io DEVO sapere come va avanti!!) e scaricarsela sottotitolata, tanto che Fox Italia per la prima volta ha mandato in onda gli episodi a sole 24 ore dalla diretta americana, con i sottotitoli. Anche questo dimostra quando Lost sia stata una “droga” talmente forte, che ha dettato nuove regole persino nel modo di programmare i palinsesti delle reti e nel modo di fruire un’opera da parte del pubblico. Anche qui, una cosa mai vista. Forse l’inizio di una rivoluzione.
Anche da questo punto di vista, Lost non è stato solo un serial ma un’esperienza. Non a caso, il progetto mediatico correlato a Lost si chiamava “The Lost Experience”. Ovvero un modo di raccontare aspetti collaterali della storia attraverso un innovativo uso di finti siti web collegati alla Dharma & co, viral su internet, libri, trasmissioni radio, ecc… Gli americani definirebbero questa tecnica “trans media”; Lost è stato il primo serial (a memoria, la prima opera?) ad usare i media in una maniera trasversale, facendo entrare l’entertainment di fatto nella sua nuova era, assottigliando il confine tra realtà e fiction.


Un confine sottile, in quanto Lost, pur adottando un format di serial, presenta molti aspetti anticonvenzionali che lo avvicinano più alla vita stessa che a una semplice opera di narrazione. Alcune risposte ci sono, altre no, sta a noi trovarle. Sta a noi dare un senso a ciò che abbiamo visto. Sta a noi decidere se ciò che ci accade abbia un senso o no.


Tutto questo posiziona Lost al di sopra degli standard qualitativi delle opere narrative di qualsiasi media o periodo storico. Lo fa diventare un’esperienza emotiva e cerebrale, rendendolo di fatto eterno. Non è un semplice racconto che milioni di persone hanno osservato. E’ un fenomeno collettivo a cui hanno, abbiamo, partecipato.
Perché alcuni sono rimasti delusi? Beh, alcuni perché guardavano le puntate di Lost cercando meramente le risposte ai misteri, il che significa che non stavano seguendo la storia. La vera storia di Lost, e non il suo background. Stavano guardando la scatola senza capire che c’era un contenuto. Ma il vero punto è un altro. Credo che ogni giudizio sia profondamente influenzato dalle aspettative. Se andiamo al cinema a vedere un film da cui non ci aspettiamo niente, e il film, pur essendo semplicemente sufficiente, ci sorprende positivamente, il nostro giudizio sarà molto buono. Se invece speriamo di vedere un capolavoro e il film non si rivela soddisfacente, saremo feroci nel criticarlo. Ecco, Lost ha probabilmente creato la più grossa aspettativa nella storia delle aspettative e questo sin dall’episodio pilota. Ognuno si era fatto una propria idea sulla storia e su come avrebbe voluto che andasse, e questo ha reso molto difficile soddisfare tutti quanti. Gli autori, dando forma a Lost puntata dopo puntata, hanno dovuto combattere contro un potentissimo antagonista: l’immaginazione senza limiti di ogni singolo spettatore.


A coloro che non hanno gradito il finale perché non era ciò che si aspettavano, dico: non pensate a quello che poteva essere o che avreste voluto. Cercate di capire cosa è stato, perché non potete cambiarlo. Dategli un senso e poi lasciatelo andare. Let it go.


Io ho provato a spiegare perché Lost è un capolavoro ma cercare di spiegare Lost è semplicemente riduttivo. Lost va visto. Neanche, va vissuto.


E allora… ci vediamo in un’altra vita, fratelli.


See ya in another life, brothas.


Fonte : www.bestmovie.it

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