di Aliberth
(INCONTRO tenuto al CENTRO NIRVANA il 10/1/2000)
La mente, nella sua natura originaria, è un mare quieto ed esprime il meglio di se stessa quando è pura energia. Al contrario, quando si manifesta come mente individuale è sottoposta ad una serie di limitazioni, a causa del principio egoico, che la rendono estremamente inaffidabile e fonte di incertezze e preoccupazioni. L’individuo si trova a star male, proprio perché, in qualche modo, autolimita la sua mente proponendola come mente individuale. Se avessimo una montagna d’oro, essa avrebbe un enorme valore. Se da questa montagna, ne traessimo fuori un solo grammo, sarebbe solamente un misero grammo d’oro. Perciò, l’individuo limita se stesso proprio nella sua concezione di credersi individuo....
Quando la mente riprende possesso della sua vastità, della sua totalità, appunto attraverso l’autoconoscenza; quando l’istruzione spirituale guida la mente a riappropriarsi del suo sterminato potere, essa cessa di pensare a se stessa in termini di individualità. Ed allora la mente funziona meglio, è consapevole di sé e contiene le risposte giuste per ogni eventualità, ottimizzando la produzione di sana energia per il miglior utilizzo da parte dell’uomo. In altre parole, l’uomo che incarna una simile mente è un Realizzato, un Liberato vivente, un Illuminato fuso con la Totalità. Il miracolo di un simile raggiungimento, di questa verticale risultanza, è dovuto esclusivamente alla Consapevolezza di Sé.
Come ho detto mille altre volte, la consapevolezza è la funzione ottimale della mente. E la mente ha in sé un unico modo per conoscersi, per riflettersi nel suo stesso specchio, ed è soltanto la consapevolezza. Quando noi siamo consapevoli “di essere consapevoli”, stiamo utilizzando la migliore funzione mentale e siamo tutt’uno con quella natura originaria della mente. Invece, quando non siamo consapevoli di noi stessi, la mente funziona lo stesso, ma è intasata, ostruita e ostacolata nel suo funzionamento ottimale; quindi, l’uomo non trae nessun vantaggio dal fatto che la mente, di per sé, è pura autoconsapevolezza.
Qualche anno fa, mi sono permesso di tradurre dall’Inglese un testo del maestro laico Tibetano Tarthang Tulku, presumo tuttora inedito in Italia. Questo testo, intitolato ‘MASTERING SUCCESSFUL WORK’ (più o meno, AVERE PIENO SUCCESSO NEL LAVORO) è un preziosissimo manuale che permette agli Occidentali, notoriamente molto scarsi nella scienza della consapevolezza mentale, di riuscire a padroneggiare i poteri della mente per ottenere il pieno successo nella vita. Chiaramente è un libro che, probabilmente, è andato a ruba, per i manager e gli uomini d’affari Americani, ma che in definitiva può essere molto utile anche per gli umili ricercatori della Verità della mente.
In questo libro, l’autore da un certo valore empirico al tempo. Come vedete, non si è interrotto nulla, allo scadere del millenovecentonovantanove e l’entrata del duemila. In ogni caso, egli ritiene che il nostro adattarci ad una condizione temporale, può servirci per scandagliare le nostre esperienze e selezionare quelle che hanno un valore maggiore. Chiaramente, l’esperienza di alzarci la mattina, fare colazione, uscire per andare al lavoro, ecc. è così metodica che, naturalmente, non ha necessità di essere focalizzata ed estrapolata. Ma certe esperienze di vertice, del tipo” peak esperiences”, che abbiamo durante la giornata, possono essere evidenziate proprio in funzione del tempo. Poiché la mente, dopo questo tipo di esperienza, rientra nel normale ciclo quotidiano, ma mantiene una sorta di potere retrogrado circa l’esperienza vissuta. Ecco perché possiamo convivere contemporaneamente nel quotidiano e nella condizione di meditazione. Proprio per questo: perché il quotidiano ci da la causalità delle esperienze e la meditazione ci da la focalizzazione di queste esperienze. Se noi non avessimo la capacità di focalizzare l’esperienza del quotidiano, non potremmo nemmeno focalizzare l’esperienza eccezionale. In definitiva, la consapevolezza instaurata naturalmente nella mente, diciamo che si allena con le esperienze del quotidiano, così da essere mantenuta attiva, come un fuoco sempre acceso, per poter poi cogliere appieno l’esperienza focale.
Si tratta, quindi, di prendere l’impegno ad essere consapevoli sempre e ad applicare il suo potere proprio nel luogo ove siamo e nel momento presente. L’umanità ha una speciale affinità per la consapevolezza e per la conoscenza che ne deriva; possiamo essere consapevoli del passato e del futuro, come pure del presente. Consapevoli dei nostri scopi ed intenti, nonché degli atteggiamenti e delle abitudini altrui; consapevoli contemporaneamente di fattori operanti su molti piani diversi. La conoscenza di cui abbiamo bisogno, per avere successo nel lavoro e nella vita, dipende da come impariamo a coltivare questa consapevolezza.
…La consapevolezza attira le qualità dinamiche dei sensi e della mente. Essa permette alla visione di prendere forma e ci consente di stabilire chiare mète, invitando la conoscenza a compiere i suoi propositi. Sapendo ciò che è importante e di valore, la consapevolezza se ne prende cura. Come un faro risplendente nello spazio, la consapevolezza rivela le interconnessioni, mostra sia i dettagli che le prospettive più ampie. Ci consente di prevedere, pianificare, analizzare, organizzare e focalizzare. Come conduttrice e direttrice dell’esperienza, la consapevolezza può guidare la poderosa energia della mente verso tutte le realizzazioni…
Quando si comincia a predisporre un qualsiasi compito, la consapevolezza si dirige spontaneamente verso quella imminente attività. Ma, in capo a pochi minuti, molta della nostra attenzione viene dirottata nei dialoghi mentali interni, immagini, memorie e concetti sconnessi. Teorie di pensieri partono ed attirano su di essi la consapevolezza. Immagini e ricordi, progetti e desideri, si presentano all’improvviso, fluttuano nell’aria e poi spariscono come bolle di sapone soffiate da un bambino, portando con sé la consapevolezza che avevano attirato. In più, nella nostra mente umana vi è qualcosa simile ad un rumore di fondo, un sottile vento energetico che fa volare la nostra attenzione e, poiché noi non siamo istruiti a focalizzarla, la sposta continuamente portandosela via, come una piuma preda del vento rabbioso. Nella terminologia del Ch’an, e del Buddhismo in generale, questo vento sottile è l’AVIDYA’, la nostra Ignoranza Metafisica che, a causa della insistenza karmica nella nostra mente, nasce con noi al momento della nostra venuta al mondo, quasi fosse un marchio di origine, una sorta di DNA psichico, assai rispondente al concetto di “peccato originale”. Ecco perché troviamo difficoltà a focalizzare e mantenere fissa l’attenzione su qualcosa, se non per un brevissimo periodo di tempo: perché questo rumore di fondo, distante e confuso, questa sorta di vento sottile ci trascina con sé.
L’esercizio di meditare su un oggetto particolare e lo stabilire un tempo di durata, è un buon metodo per chi ci prova, e soprattutto per chi ci riesce, proprio allo scopo di rafforzare l’intenzionalità dell’attenzione. Lo sforzo di rimanere fermi mentalmente, o visivamente, su un oggetto di meditazione o su un punto di riferimento, ci permette di vitaminizzare la nostra consapevolezza. Ci consente, perfino, di poter cogliere questo rumore sordo, questo vento distraente, indefinibile, che ci porta continuamente a rivolgere altrove l’attenzione ed a pensare sempre a qualcosa di subentrante. Allora possiamo veramente cominciare a vedere la consapevolezza in funzione. Essa vede l’attenzione correre verso un altro pensiero che, in quel momento, esprime la sua urgenza di essere considerato. Persino se il nostro precedente interesse ci richiama e ci riporta indietro, la nostra attenzione ordinaria si è un po’ spenta e non ha più quell’acutezza che, invece, ci verrebbe dall’essere pienamente presenti e consapevoli.
In questo caso, siamo totalmente inconsapevoli della nostra consapevolezza e, di conseguenza, la nostra mente perde la sua centralità ed il suo potere autonomo, comincia ad andare a zig-zag, barcollando su e giù come un ubriaco. All’esterno possiamo anche sembrare fermi e ben intenzionati, ma nel nostro intimo e, purtroppo senza averne coscienza, siamo spauriti e indifesi come bambini. Non siamo nemmeno consapevoli di essere distratti e siamo inconsapevoli, quindi, delle conseguenze dei nostri pensieri, della mancanza di veri propositi e del nefasto effetto di alcune nostre azioni. Dunque, tutto il processo di come siamo impediti ad ottenere una concreta consapevolezza e tutto il danno che ne consegue, neanche questi vengono visti. Ecco perché è veramente pericoloso, per le menti umane, non conoscere la loro Ignoranza fondamentale. Questa, è la spiegazione più evidente del perché gli umani, ciechi e impossibilitati a vedere, non possono sfuggire i loro problemi esistenziali. Essi, anche quando pensano di rivolgersi ai metodi ed alle strutture mondane, che non hanno il potere di stravolgere e distruggere la loro visione innaturale e individuale, non possono sperare di salvarsi. Al di là del fatto che, uno raggiungendo l’Illuminazione non avrebbe più problemi, anche senza perseguire questo vano inseguimento dell’Illuminazione, è la nostra esistenza stessa che dovrebbe essere dedicata alla consapevolezza. Il vero Illuminato è colui che ha reso pratica la vita, non quelli che camminano per aria o passano attraverso i muri. È colui che utilizza, qui, ora e sempre, la consapevolezza di se stesso. In questo modo, egli non avrà più problemi esistenziali.
Sapete cos’è che impedisce l’illuminazione? È il fatto che qualcosa, nella mente, dica: “C’è un problema…!” Ma, se quello che, prima, appariva come un problema, viene risolto dalla luce continua della consapevolezza, che devìa e sposta l’ottica del problema stesso, allora, dov’è più, il problema? Questo è il vero senso della comprensione. Non posso più nascondermi dietro all’ignoranza che vuole farla da padrone. Non posso non sapere che sto prendendo una certa decisione, non posso non sapere che sto pensando una certa cosa e non posso non sapere che, le conseguenze di questi eventi ricadranno inesorabilmente sul mio benessere mentale. Più che rispondere a quello che la mente vuole sapere, io devo sapere ciò che la mente sta pensando, qui e ora! Questa è consapevolezza. Quindi, i problemi della nostra esistenza, che sono soltanto pensieri fortificati, verranno indeboliti, dal laser della consapevolezza, e non saranno più problemi. Perché, rafforzando la consapevolezza, rinforziamo la mente naturale e non ci sarà più la mente personale che vede le cose come problemi. Qualsiasi cosa dovesse accadere, sarà semplicemente CIO’ che doveva essere, perciò E' ciò che E’!
Chi è che dice: - è un problema-? E chi è che lo vede? E chi è che lo porta alla nostra consapevolezza? E’ la mente disturbata, la mente egoica, la mente ottusa e ignorante che definisce ogni cosa o come un problema o come un’attrattiva. Quando, però, la mente avrà acquisito la perfetta consapevolezza onnipresente, aderente a sé per tutto il tempo, stiamo sulla buona strada, stiamo per uscire dall’oscuro tunnel, stiamo per riacquistare la vista luminosa. Inizialmente dovremo sottostare alla difficoltà di incanalare la consapevolezza, quasi come uno strumento guidato ancora dall’Io. E questo fatto renderà incostante e imprecisa la consapevolezza. Ma, se insistiamo, se non molliamo, se rafforziamo l’energia impersonale della mente, la luce della consapevolezza diventerà autonoma e spontanea; prenderà il posto dell’Io e ci farà apparire tutto il mondo, la nostra mente e tutte le cose, come componenti dell’Illuminazione, della Liberazione, del Nirvana. Dobbiamo diventare consapevoli della Consapevolezza che opera in noi. Se non siamo consapevoli della nostra consapevolezza, non abbiamo accesso alla realtà che è al di là dei contenuti di ciò che stiamo pensando. Ecco perché, se c’è un pensiero che ci reca un problema, è la stessa energia del pensiero inconsapevole, che genera e rinforza l’idea di problema. Solo con la consapevolezza della consapevolezza andiamo oltre questo pensiero che ci genera una falsa realtà, una situazione karmica circolare senza fine, opprimente e disperata che i buddisti chiamano “SAMSARA”.
Vivere nel Samsara è come quando abbiamo un prurito che non ci passa, ci grattiamo ma non serve a nulla, anzi peggioriamo le cose. Questo prurito ci prende dappertutto, nel corpo e nella mente, e diventa un chiodo fisso. E più ci pensiamo, più ci tormenta. Invece di condannarci a questi cicli negativi, possiamo imparare ad esercitare la consapevolezza. Possiamo chiaramente vedere i nostri pensieri, come modelli negativi, e usare questa conoscenza per risvegliare il nostro potenziale positivo. Possiamo usare la consapevolezza come una medicina che cura la nostra malattia mentale. Potremo avere, più avanti, ancora delle ricadute, ma saranno sempre più leggere e sopportabili, perché la riattivazione immediata della consapevolezza metterà tutto a posto. Essa, restituisce pace e serenità nella mente, allontana i pericoli dell’illusione con tutto il suo mondo di immagini fantasmagoriche. La consapevolezza lenisce le nostre sofferenze mentali, in maniera eccezionale. Il poter vedere, dall’interno, noi stessi preoccupati di qualcosa, diminuisce la valutazione della cosa preoccupante, e fa ristabilire un senso di padronanza. Avere fede nella consapevolezza, mantenere questa capacità di aprirsi alla consapevolezza, esercitandola continuamente, questa E’ L’ILLUMINAZIONE!
Gesù Cristo affermò che, Lui ed il Padre, erano una cosa sola. Cosa vuol dire questo, se non che Gesù ammetteva di essere costantemente nello Stato Divino, in cui la singola persona, l’Io ordinario, si apre, si offre e si identifica al Potere Supremo, cioè alla Consapevolezza? Il Padre, secondo la terminologia Cristiana, è quella condizione, quello stato sublime in cui regna incontrastata la Consapevolezza. La consapevolezza è quell’unica cosa che, come il diamante, è capace di distruggere e tagliare tutte le altre cose. Quindi, non può essere una cosa, secondo i nostri valori concettuali. E’ uno stato di grazia particolare, uno stato di coscienza profondamente vibrante, uno stato di presenza impersonale e senza opinioni. Con la consapevolezza in atto, cessano tutte le identificazioni. Non può più essere fatta una distinzione tra chi è il Figlio e chi è il Padre, tra chi sono Io e chi è la Coscienza. Non c’è più il pensiero: “Io sono io e tu sei tu!”; non c’è più nulla di tutto questo, nella mente autoconsapevole. Perciò, quello stato senza nome, anche chiamarlo “Padre” è soltanto simbolico. Però, nei Vangeli cristiani, visto che siamo obbligati ai termini ed alle parole, è stato definito Padre. Tutto qui.
Ora, in questo preciso momento, cerchiamo di vedere, consapevolmente, se tutti questi discorsi, hanno fatto scaturire dei pensieri nella nostra mente. Se noi siamo presenti e consapevoli, di questo eventuale scaturimento di pensieri, e se rimaniamo tranquilli e inattivi davanti al loro sorgere, allora siamo compenetrati di consapevolezza. In questo modo, potremo successivamente constatare che tutti i pensieri, poi, cadono e svaniscono. Se volevamo aderire a questi pensieri, e invece li facciamo cadere e svanire, immediatamente siamo nella mente imperturbabile, siamo nella condizione privilegiata del Ch’an. Se siamo capaci di mantenere la consapevolezza che annulla i pensieri e vedere tutto questo come un gioco della mente, allora possiamo pure giocare con i pensieri, con i termini, con le parole, con le identificazioni, con lo stesso Io. Se siamo capaci di esserne liberi, allora possiamo giocare ed usare tutti i prodotti della mente, perché non sono più essi che dominano me, ma è la consapevolezza che domina tutto quanto. Quando cessiamo di identificarci con la persona, ma siamo un tutt’uno con la consapevolezza, che ormai si genera da se stessa, chi sono io, alla fine, se non il contenitore occasionale della consapevolezza? La coscienza che è libera dai bisogni di sentirsi etichettata, esprime se stessa per mezzo della consapevolezza e produce la vera conoscenza. La conoscenza che, invece, ha bisogno di appiccicare sempre l’etichetta su ciò che ha esperito, è solo mera erudizione. Il Ch’an non è la Via dell’erudizione; questa non è una scuola di erudizione. Se qualcuno di voi viene qui per cercare erudizione, sbaglia, perde tempo, perde la vita, perde tutto…
Ciò che è importante è capire questi discorsi, per nulla chiari per chi non comprende lo Zen. Se il significato della consapevolezza, e la comprensione di essa, non è immediatamente fruibile da tutte le menti umane, a che serve parlarne? A che serve venire qui ad ascoltare? Se scendo in piazza a predicare che la vita eterna si ottiene pregando e facendo sacrifici e digiuni, questo è un linguaggio fruibile e comprensibile da tutti. Ma il linguaggio dello Zen non può essere predicato e declamato in piazza, ché non potrebbe essere capito. Quindi, quando veniamo qui ad ascoltare il Ch’an, dobbiamo noi adeguarci allo Zen, e non viceversa. Non possiamo pretendere di comprendere lo Zen col nostro consueto modo di incamerare concetti, di far collezione di cultura. Dobbiamo mettere in atto l’intuizione. L’intuizione, sorella della consapevolezza, è silenziosa, non lascia tracce di sé, non apre e chiude cassetti, non tira fuori volumi dalla biblioteca, non mette la firma sotto i documenti. L’intuizione è la miglior qualità mentale per far sorgere, mantenere e utilizzare la consapevolezza. Se non utilizziamo il potere della consapevolezza con il potenziale dell’intuizione, stiamo sprecando la risorsa più preziosa della mente. Al pari di chi, pur avendo un grande pianoforte nel soggiorno, lo usa soltanto per far bella figura. Le persone ordinarie sprecano, purtroppo inconsciamente, il gran dono della consapevolezza, utilizzandola soltanto per essere attratti dalle proprie emozioni e dal desiderio di possesso degli oggetti concupiti dalla mente ignorante. L’Essere consapevole, il Padrone della propria mente, rimane immobile e non aderisce a questi richiami sensoriali del mondo fenomenico. Ne ha consapevolezza, l’attenzione lo rende informato di questi pensieri vaganti, ma egli ne resta liberamente esente, non attaccabile. Vede se stesso come una Fabbrica di pensieri, ma rimane interessato alla fabbrica, non segue i pensieri che ne escono.
Qualunque sentiero spirituale vi accingeste a percorrere, per affrancarvi dall’infelicità samsarica, sappiate che, prima o dopo, dovrete arrivare allo sviluppo della consapevolezza. È come un muro, un ostacolo inderogabile cui dovrete giungere per forza e, in qualsiasi modo, dovrete superarlo. Per cui, è inutile pensare (appunto…) che questa strada del Ch’an non fa al caso vostro. La differenza sta soltanto nei tempi di esecuzione, tra questa e altre pratiche spirituali. Nel Ch’an dovrete esprimere una motivazione supersonica, sarete immediatamente messi faccia a faccia con voi stessi, e dovrete riuscire a non fuggire. Perché, se fuggirete per cercare strade più comode e meno veloci, correrete il rischio di trovare delle pratiche accomodanti, gradite al vostro Io, ma che si riveleranno essere, poi, soltanto palliativi momentanei. E se vi direte: “ Ah, oggi ho fatto veramente una bella meditazione, mi sono rilassato e sono stato benissimo!”… troverete, immancabilmente, dopo ad aspettarvi, i problemi drammatici della vostra mente, che avevate momentaneamente lasciato fuori della porta. Qualsiasi altro sentiero, che permetta solo quelle due orette, tranquille e serene, non serve a nulla, non risolve assolutamente i guai della mente malata e ignorante di sé.
Ricordiamoci che la consapevolezza, una volta sbocciata ed instaurata, è un bene prezioso che non verrà più disperso; perché possiede una qualità autosostenente innata che le permette di ritornare automaticamente su di sé anche se si trovasse ad essere momentaneamente dirottata. Tarthang Tulku dice che, come un’ape che è attirata dal polline di un meraviglioso fiore, la consapevolezza può volar via, ma si attiene sempre a tornare indietro.
Fonte : www.centronirvana.it
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